L'India è uno dei pochi Paesi al mondo in cui la popolazione femminile è inferiore a quella maschile: questo non è un caso, ma il prodotto di una concezione retrograda che si serve anche delle moderne tecniche di determinazione del sesso dei feti per portare avanti una discriminazione sessuale che è di fatto discriminazione verso la vita delle donne. Ogni anno nascono in India tredici milioni di bambine e tre milioni vengono soppresse prima di nascere; un milione e mezzo non conclude il primo anno di vita, 850.000 muoiono durante la prima infanzia, perché il cibo migliore e le medicine sono riservati ai figli maschi, che ricevono anche l’allattamento al seno per un periodo più lungo e più spesso vengono vaccinati.
La
salute delle donne tende a essere vista soltanto come salute riproduttiva:
anche se la mortalità in gravidanza è la seconda più alta del mondo (125.000
morti all’anno), è la tubercolosi la prima causa di morte tra le donne, seguita
da ustioni e suicidio, mentre quattro donne su cinque soffrono di anemia. Le
bambine hanno un minore accesso all’istruzione, trascorrono in media 1-2 anni a
scuola (contro i 3-5 dei maschi); l’analfabetismo femminile raggiunge punte del
70% nelle zone rurali. Le donne indiane che non sanno leggere né scrivere sono
245 milioni (il 46%). Il 60% delle donne si sposa entro i 18 anni, un terzo
delle prostitute indiane ha meno di 14 anni e una gran parte fa questo lavoro
perché venduta dalla famiglia di origine. Questi dati preoccupanti vengono
aggravati dal fatto che in alcune parti dell’India, ancora oggi, le
bambine vengono uccise da piccole in modo tale da far sì che non arrivino
all’età del matrimonio: vengono annegate nel latte subito dopo la nascita,
soffocate con un cuscino o semplicemente alimentate con l’oppio.
Nella società indiana nemmeno le femmine delle città
ritenute progredite hanno buone chances
di sopravvivenza: la determinazione del sesso è, infatti, praticata dai
genitori che possono permettersi l’amniocentesi e, se necessario, l’aborto. È
vero che da qualche tempo questo tipo di test è proibito, ma le cliniche
private, con amniocentesi ad ultrasuoni, continuano a proporlo e se il feto è
di sesso femminile viene, nella maggior parte dei casi, abortito. Un dato: su 8000
aborti praticati a Bombay in seguito ad amniocentesi, 7999 riguardavano feti di
sesso femminile. Cifre così precise e drammatiche hanno scatenato campagne
d'opinione di numerose associazioni femminili indiane, ma nelle aree rurali è
ancora oggi l'infanticidio a prevalere. Nessuno si preoccupa delle conseguenze
di una selezione del genere, così come nessuno si preoccupa del fatto che, da
anni, la percentuale femminile della popolazione è in continua, drastica
diminuzione.
Il censimento del 1961 rilevava ancora 972 donne per
ogni 1000 uomini, nel 1991 le donne erano scese a 927, negli Stati arretrati
come Bihar, Uttar Pradesh e Rajastan le donne risultavano essere perfino solo
600 per ogni 1000 uomini. Il più recente censimento ha dimostrato che nella capitale
indiana il numero delle donne è inferiore di 900.000 rispetto a quello degli
uomini: il rapporto tra
numero di nascite femminili e maschili (sex
ratio) è di 940 donne ogni 1000 uomini. Studi recenti prevedono che di
questo passo nei prossimi 20 anni l’India avrà il 20% in più di uomini rispetto
alle donne.
Feticidio
e infanticidio femminile sono il tragico risultato di una tradizionale e
radicata preferenza verso il figlio maschio: l’India è una democrazia e non c’è
nessuna legge sul figlio unico a cui dare la colpa, né la povertà può essere
usata come unico fattore per spiegare questa scelta. Al contrario, gli Stati in
cui la pratica è più diffusa (Punjab, Haryana e Gujarat) sono tra quelli più
ricchi dell’India. Con 600.000 bambine in meno ogni anno tra 18 anni
mancheranno circa dieci milioni di potenziali spose e le statistiche dimostrano
che i Paesi in cui mancano le spose sono quelli in cui c’è una percentuale più
alta di stupri, prostituzione e compravendita di mogli.
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